LA CITTA' DELLE MOLLETTE

Laboratorio Teatrale con finalità di integrazione culturale e prevenzione del disagio scolastico
 
 

Scuola Elementare di S. Venanzio di Galliera (Bo) A.S. 2001/2002

Presentazione

Laboratorio Il mio libro è una scatola

Il fantasma e la bambina

Il signor Cocciapelata

Relazione finale

 

Con questo laboratorio viene proposto ai bambini un percorso sui linguaggi verbali e non verbali, puntando all'invenzione e successiva rappresentazione di storie a concatenamento casuale che servano da inconsapevole ma non mediato vettore dei portati relazionali singoli e del gruppo, con particolare riferimento alle problematiche date dalla composizione multietnica (e quindi multiculturale) dei gruppi classe.

Comporre narrazioni animate sempre più complesse, studiando parallelamente dal punto di vista fenomenologico le differenze e i possibili paradossi del linguaggio verbale e dei linguaggi non verbali, fornisce un mezzo -ampiamente sottoutilizzato sia dai bambini che dagli adulti- per esprimere in forme libere da costrizioni formali quello che normalmente non si è capaci di dire, o non si vuole, o non si può, o del quale forse non si sospetta consapevolmente l'esistenza.

Il nodo che mi è stato richiesto di affrontare è quello -peraltro assai spinoso- dell'interculturalità, che nella S.E. di S. Venanzio è un dato di fatto prodotto dalla composizione fortemente multietnica dei gruppi classe: in questo caso il teatro, nel momento in cui è anche un parlare di Sé parlando d'Altro, fornisce uno spazio all'interno del quale le invenzioni narrative e il modo di rappresentarle fanno da ponte e da specchio -a volte nemmeno tanto deformante- alle relazioni sia reali che immaginarie dei singoli, del gruppo e dei vari sottogruppi.

Dare cittadinanza e mettere a confronto i rispettivi immaginari serve a riconoscere sia i tratti comuni che le diversità come patrimonio di tutto il gruppo, a mettere in comunicazione persone che possono a questo punto -e non prima- scoprire che possono esistere nei propri simili modalità di espressione e scale di valori completamente diversi, ma spesso con paure ed ansie perfettamente somiglianti e addirittura (mi è già capitato di verificarlo di persona) riferite e vissute specularmente da ognuno rispetto a tutti gli altri.

Allora la proposta è quella di non fermarsi ai primi approcci dati dalla costruzione di storie e di proseguire coinvolgendo tutti in un fare, che pur non pretendendo di generare dal nulla un immaginario collettivo, sia in grado di valorizzare il patrimonio delle differenze per realizzare qualcosa che, mostrato ad altre persone, incoraggi il riconoscimento e la condivisione di questo patrimonio. Questo senza però avere nemmeno lontanamente la pretesa di raggiungere fini didascalici, di montare in cattedra con l'indice alzato profferendo l'insano Verbo dell' Ora vi spieghiamo come si fa.

In maniera molto meno vistosa ma senz'altro più visibile -e leggibile- nei suoi intenti e nella sua prassi, il senso di questa iniziativa sta nel porre la teatrabilità al servizio del Gioco e di bambini che non sono e probabilmente non saranno mai attori, ma soltanto (e scusate se è poco) bambini, che sanno trarre soprattutto dal gioco il bagaglio cognitivo indispensabile a costruire la propria ed altrui identità.

 

Il mio libro è una scatola
Laboratorio di composizione e narrazione per la 1° e la 2° elementare con obiettivi di convivenza interculturale

 

Questo lavoro si propone di impiegare la composizione e la narrazione improvvisata di storie come elemento di partenza per mettere in contatto fra loro gli elementi immaginari -e quindi simbolici- degli alunni dei vari gruppi classe, con l'obiettivo di compiere una sorta di esplorazione guidata alla conoscenza reciproca delle rispettive ansie, aspettative, aperture, date dalla situazione di interculturalità caratteristica dell'intero plesso scolastico.

Comporre narrazioni animate sempre più complesse, studiando parallelamente dal punto di vista fenomenologico le differenze e i possibili paradossi del linguaggio verbale e dei linguaggi non verbali, fornisce un mezzo -ampiamente sottoutilizzato sia dai bambini che dagli adulti- per esprimere in forme libere da costrizioni formali quello che normalmente non si è capaci di dire, o non si vuole, o non si può, o del quale forse non si sospetta consapevolmente l'esistenza.

In tal senso anche la raccolta di oggetti da mettere in una scatola, allo scopo di utilizzarli come personaggi, o pretesti, o accessori delle storie che si andranno a comporre insieme, ha già di per sé una valenza di messaggio. Sia ben chiaro, non c'è neanche lontanamente il pensiero di mettersi a psicoanalizzare una piccola raccolta di oggetti: c'è piuttosto la volontà di osservare ed ascoltare i possibili segnali che vengono dall'interazione con i bambini e dare ad essi almeno un tentativo di risposta, che equivale se non altro a riconoscere a questi segnali il diritto di cittadinanza.

Non vi è pretesa da parte di nessuno di dare la risposta "giusta" a un qualche cosa che ha come tratto comune il fatto di scaturire da una situazione totalmente nuova per tutti, compresa credo la maggioranza delle insegnanti, situazione a suo tempo generata da pesanti stati di necessità e non certo da improvvise velleità turistiche delle famiglie immigrate.
Improvvisare storie e magari metterle in scena, e poi disegnarle, elaborare diversi possibili finali, smontarne e rimontarne tutta la struttura costituisce la possibilità di elaborare e riflettere su quello che i bambini hanno di fronte nel loro quotidiano, di vedere questo stesso quotidiano da un punto di vista altro; significa aiutarli a decidere liberamente quali e quante aperture mantenere di fronte a questa alterità.

 

 

Relazione Finale

 

Il lavoro svolto da gennaio a maggio ha coinvolto oltre un centinaio di bambini e ha prodotto una serie di risultati che hanno sotto certi aspetti superato alcune delle aspettative, sfociando in una produzione che per qualità e quantità era stata -come spesso accade in questi casi- più auspicata che prevista: durante l'incontro con il Collegio Docenti del 18 dicembre 2001 avevo sottolineato l'incertezza rispetto a risultati "visibili" -cioè presentabili ad un pubblico- che un simile lavoro determinava proprio a causa degli obiettivi posti in essere, che a mio avviso richiedevano di privilegiare il processo rispetto ad un'eventuale "punta dell'iceberg".
Mentre il percorso di laboratorio delle terze classi era già progettato, e aveva come elemento da determinare solo la storia da mettere in scena, per quanto riguardava le seconde e le prime si presentava una situazione che per qualcuno poteva suonare un tantino imbarazzante: quali potevano essere gli obiettivi di un lavoro sulla narrazione improvvisata con i bambini?
O meglio, si poteva pensare di utilizzare questo approccio ai fini della prevenzione del disagio scolastico e dell'integrazione culturale, quale era l'obiettivo delle attività richiestemi?

Ero e sono dell'opinione, peraltro condivisa dal Collegio, che già instaurare un dialogo tra gli immaginari dei bambini cercando di portare allo scoperto qualche elemento non solo di potenziale disagio, ma anche di curiosità o di conflitto inespresso sarebbe stato un obiettivo più che accettabile.
Invece siamo andati oltre, e sia nelle prime che nelle seconde la possibilità di raccontarsi tramite un altro da sé che veniva costruito in un lavoro collettivo -e che quindi offriva un ottimo riparo all'eccessiva esposizione del - ha consentito che uscisse allo scoperto la memoria dei luoghi di origine, della lingua, del dialetto, del senso dell'ospitalità.

A questo proposito, dei laboratori ricordo un viaggio immaginario a Cicciano, paese d'origine -in provincia di Napoli- di un bambino che vestendo i panni del sindaco ha ospitato una comitiva di viandanti a casa sua, preoccupandosi fin dei minimi particolari, e del proseguire visitando le origini di tanti altri bambini, il mercato di Casablanca (in lingua originale con traduzione diretta) dove è vietato vendere vino -ma dove troviamo l'imperitura Coca-Cola- epoi il deserto, la frontiera della Côte d'Ivoire, la gente che saluta dai balconi di Canosa di Puglia: in ognuna di queste quattro classi si è manifestata chiaramente la voglia di quell'oltre che non si trova in nessun programma ministeriale, e che è invece lasciato alla buona volontà delle insegnanti, alle quali va tutto il mio ringraziamento per il sostegno e l'accoglienza data a questo lavoro e a questi bambini, stranieri e non.
In particolare, è stato il lavoro svolto nelle seconde a produrre una storia che presentava tutte le caratteristiche necessarie alla messa in scena di un qualcosa che riguardava l'intero plesso scolastico, un qualcosa che rientrava negli obiettivi stessi dei laboratori.

La Città delle Mollette è la storia di una popolazione tutta uguale, ma così tanto da non poter distinguersi l'uno dall'altro che a malapena, dove tutti posti sono uguali e si chiamano allo stesso modo, dove la diversità non è osteggiata semplicemente perché non è neanche concepita, grazie all'abissale ignoranza di ognuno (non esistono scuole e quindi non si sa nemmeno che fuori dalla città esiste il resto del mondo), ma dove i litigi, le risse ed il malumore sono la caratteristica principale di ogni abitante.

Non c'è bisogno di grande sforzo per cogliere analogie, inversioni e paralleli con il nostro quotidiano, con il quotidiano di questi bambini che si trovano in una situazione tutt'altro che comune di convivenza con culture altre (fra le quali va, non scordiamolo, compresa anche la nostra): l'esilarante messa in scena che abbiamo realizzato e presentato la sera del 31 maggio costituisce un ulteriore obiettivo raggiunto con i bambini di due gruppi classe che originariamente hanno assai stentato a lavorare assieme.
Per quanto riguarda anche -e non solo- il superamento di queste difficoltà il mio ulteriore ringraziamento va alle insegnanti Loredana Lonardi e Rosaria Rugolino.

Ritengo quindi che gli obiettivi siano stati pienamente raggiunti, ma che questo non significhi aver risolto il problema: molto più modestamente, credo sia stato aperto uno spazio dove l'inesprimibile ha cittadinanza, e slegato da un uso troppo complicato del linguaggio verbale può trovare modo -se non altro- di palesarsi per quello che è, senza per forza doversi nascondere altro che dietro le sue sembianze simboliche (le quali rendono comunque le cose già abbastanza difficili): si pone ora il problema di rendere tale spazio -sempre che lo si possa e lo si voglia fare- qualcosa di più visibile e fruibile a chi ne avesse bisogno.

 

 

 

 

Ultima modifica: 26 settembre 2002